Skip to content

Emilio Vavarella. RE-CAPTURE: Room(s) for Imperfection

ENGLISH TEXT BELOW–

Da sempre l’umanità convive con entità di altro genere: animali, oggetti, elementi, convenzioni, credenze, concetti, idee. Dal Ventesimo secolo in poi, anche con sistemi, processi e macchine che hanno ampliato la rete relazionale su cui si fonda l’esistenza collettiva rinegoziando la prospettiva antropocentrica con cui l’essere umano tende ad approcciarsi al mondo.  La post modernità ha generato un complesso ecosistema ibrido in cui ipertecnologia, natura, artificio, realtà e virtualità si intersecano in provvisori equilibri tra forze eterogenee e apparentemente antagoniste. Irreversibili processi di sconfinamento tra ambiti prima considerati distinti hanno cambiato la sostanza delle cose, la densità della materia, la capillarità dello spazio e la condensazione del tempo in una nuova fluidità onnicomprensiva che rifiuta di rispondere alle tradizionali categorie epistemologiche aprendo al pensiero universi di senso ancora inesplorati.

Parte da queste premesse la produzione di Emilio Vavarella, ricercatore alla Harvard University in Film and Visual Studies and Critical Media Practise: coniugando interdisciplinarità artistica e ricerca teorica il suo lavoro analizza le logiche che presiedono al funzionamento di macchine e software indagandone le disfunzionalità per estrapolarne gli imprevedibili effetti poetici e creativi. Questo approccio, fondato sull’atto di collezionare materiale preesistente per poi riorganizzarlo secondo procedure plausibili ma paradossali, enfatizza l’autosufficienza creativa di processi attivati dalla volontà umana che, incrementandosi, acquisiscono un’imperturbabile esistenza autonoma. La mostra RE-CAPTURE: Room(s) for Imperfection propone tre diversi casi di relazione decontestualizzata tra esseri viventi e applicazioni scientifiche facendo emergere effetti e possibili sviluppi dell’ubiquità tecnologica in cui siamo immersi con l’intento di rilevare problematiche e potenzialità di una contemporaneità in costante stato di alterazione.

Il percorso espositivo è aperto dall’opera-film Animal Cinema, una sequenza di video estrapolati da you tube e rieditati dall’artista, che mostra il comportamento di vari animali impossessatisi di videocamere reperite nel loro ambiente naturale perché provvisoriamente abbandonate da qualche turista o appositamente collocate a scopo di ricerca. In queste riprese ravvicinate ci è dato vedere come i protagonisti non umani, rigorosamente indicati come attori nei titoli di coda, interagiscono con dispositivi GoPro a loro sconosciuti inglobandoli spontaneamente nelle loro azioni ma non capirne fino in fondo il grado di consapevolezza nell’utilizzo e le reali intenzioni. A volte l’incontro genera inquadrature intime al limite del voyeurismo, come quando gli organi deputati ad annusare o inghiottire di una leonessa o di un grizzly si avvicinano così tanto all’obbiettivo da saturare il campo visivo dello spettatore con un’offuscata panoramica di peli, epidermide, mucose, lingue e saliva. In altri casi l’animale è sia operatore che soggetto della ripresa, come un polipo che avvinghia con i suoi tentacoli l’oggetto estraneo per trasportarlo con sé in un affascinante passeggiata subacquea, un’aquila che lo solleva in un volo ad alta quota per depositarlo nel suo nido e fissarlo con curiosità o un granchio variopinto che lo circuisce per nasconderlo nella sua tana forse per mangiarlo o ucciderlo in solitudine. Il montaggio crea un unico flusso di immagini in movimento prodotte da esseri non umani che operano tecnologie, create dall’uomo per l’uomo, che nel corso del tempo sono diventate talmente onnipresenti da funzionare correttamente anche se utilizzate in modo casuale da operatori inconsapevoli. Questa transizione riflette la convinzione dell’artista che essere umani significhi sempre essere anche parzialmente non umani, a partire dalle migliaia di microorganismi e parassiti che regolano il nostro metabolismo. Allo stesso modo la tecnologia è sempre più in simbiosi con il corpo umano sia come macro o micro protesi interna o esterna, sia come dispositivo che ne potenzia  le facoltà di movimento, memoria, resistenza, comunicazione. Il lavoro di Vavarella analizza come queste componenti si intersecano in un unico sistema/network e cerca di individuare i punti cruciali delle differenti relazioni di interdipendenza che si instaurano tra entità ontologicamente differenti tematizzandone affinità e conflitti.

Risponde sempre all’intenzione di dare credito a ciò che è involontario (animale o tecnologia meccanica) The Other Shape of Things, una collezione sotto teca di oggetti, in questo caso teschi, realizzati con una stampante 3D a partire da un modello digitale ricavato dalla scannerizzazione di oggetti-matrice fallati con diverse tipologie di imperfezione scartati dal circuito produttivo. A questo modo l’artista verifica l’intrinseca creatività di un processo seriale in grado di generare nuove alterazioni e adotta un protocollo d’azione simile a quello della macchina, stabilendo precise regole procedurali da seguire rigorosamente senza cedere alla tentazione di evaderle per indurre cambiamenti predeterminati. I nuovi “aborti digitali” così ottenuti sono materializzati in plastica dorata come se fossero lussuosi modellini-souvenir mentre il regolare implementarsi degli errori iniziali ad ogni passaggio conduce la configurazione finale verso forme di indeterminazione molto simili tra loro pur derivando da errori diversi.

Il substrato narrativo e teorico dell’installazione Do you like cyber? che conclude la mostra è invece lo scandalo scoppiato nel 2015 per l’hackeraggio del sito d’incontri americano Ashley Madison, in seguito al quale vennero pubblicate in rete le chat degli utenti. La condivisione permise di scoprire come molte conversazioni fossero state condotte da bot e non da esseri umani. Da alcune incongruenze nei dati emersero inoltre 69 sorprendenti casi in cui queste basiche intelligenze artificiali avevano trasgredito le istruzioni del software di programmazione per contattare di propria iniziativa donne o altri bot sfuggendo ad ogni logica computazionale. Vavarella servendosi di tre speaker parametrici montati su bracci robotici in movimento crea un inquietante limbo sonoro in cui voci artificiali ad altissima frequenza ripetono all’infinito i 69 suadenti messaggi anarchici. L’immaterialità di queste conversazioni onanistiche, accentuata dalla proprietà degli altoparlanti di creare flussi sonori focalizzati che risuonano nell’ambiente in modo diverso a seconda che vengano rifratti o assorbiti dagli ostacoli fisici che incontrano generando fonti virtuali in ogni punto di impatto, è bilanciata da un solido corpo di viscere metalliche e cavi elettrici che non sembrano soffrire alcun complesso di inferiorità nei confronti dell’organismo umano. La totale indifferenza dell’opera allo spettatore propone un radicale cambiamento di prospettiva rispetto alle più comuni proiezioni post human in cui il sogno di essere umani accomuna cyborg e robot nostalgicamente privi di una propria autonomia ontologica e fa immaginare nuovi possibili scenari estetici che prescindono dalla nostra comprensione e percezione. Secondo l’artista quindi il futuro dell’evoluzione non risiede nella regola o nel virtuosismo della sua applicazione ma nell’accettazione critica dell’imprevisto che non si può più definire errore perché risponde alla logica di funzionamento di entità altre con le quali sarebbe anacronistico rifiutarci di convivere.

ENGLISH VERSION

Humankind has always been associated with other entities: animals, objects, elements, conventions, beliefs, concepts, ideas. From the twentieth century onwards, even with systems, processes and machines that have expanded the relational network on which collective existence is based, renegotiating the anthropocentric perspective with which the human being tends to approach the world.  Post modernity has generated a complex hybrid ecosystem in which hypertechnology, nature, artifice, reality and virtuality intersect in provisional equilibrium between heterogeneous and apparently antagonistic forces. Irreversible boundless processes between previously considered domains have changed the substance of things, the density of matter, the capillarity of space, and the condensation of time into a new, all-encompassing fluency that refuses to respond to the traditional epistemological categories by opening the minds to unexplored universes of meanings.

This is the point of departure of Emilio Vavarella’s production, a researcher at Harvard University in Film and Visual Studies and Critical Media Practise: combining artistic interdisciplinarity and theoretical research, his work analyzes the logic behind the operation of machines and software by investigating their malfunctions to extrapolate unpredictable poetic and creative effects. This approach, based on the act of collecting pre-existing material and then reorganizing it through plausible but paradoxical procedures, emphasizes the creative self-sufficiency of human-activated processes that, by increasing, acquire an unimpressive self-existent existence. The RE-CAPTURE exhibition: Room(s) for Imperfection proposes three different cases of estranged relationship between living beings and scientific applications, showing the effects and possible developments of technological ubiquity where we are immersed with the intent of detecting the problems and potential of a contemporaneity in a constant state of alteration.

The exhibition path starts from the Animal Cinema movie-work, a sequence of videos extracted from you tube and rehearsed by the artist, showing the behavior of various animals captured by camcorders found in their natural environment because they were temporarily abandoned by some tourists or specially placed for research purposes. In these close-up shootings we see how nonhuman protagonists, strictly quoted as actors in the final credits, interact with GoPro stranger devices by spontaneously incorporating them in their actions without letting us fully understand their degree of awareness in using and their real intentions. Sometimes the encounter creates intimate framing at the limit of voyeurism, such as when the sniffing or swallowing organs of a lioness or a grizzly approach so much to the objective to saturate the spectator’s field of view with a blind glimpse of hair, epidermis, mucous membranes, tongues and saliva. In other cases, the animal is both operator and subject of the shooting, like an octopus with its tentacles which strangle the object to carry it with him in a fascinating underwater walk, an eagle that raises it in a high altitude flight to place it in its nest and fix it with curiosity or a colorful crab that circles it to hide it in the den perhaps to eat or kill it in solitude. The editing creates a single stream of moving images produced by non-human beings that operate technologies that are created by man for man, which over time have become so ubiquitous to function properly even if they are randomly used by unaware operators. This transition reflects the artist’s conviction that being human always means to be also partially non-human, starting with the thousands of microorganisms and parasites that regulate our metabolism. Likewise, technology is increasingly symbiotic with the human body both as a macro or micro internal or external prosthesis, or as a device that enhances his faculties of movement, memory, resistance, communication. Vavarella’s work analyzes how these components intersect in a single system / network and seeks to identify the crucial points of the various interdependence relationships that are established between ontologically different entities by focusing on affinities and conflicts.

It also responds to the intention to give credit to what is unintentional (animal or mechanical technology) The Other Shape of Things, a collection of objects, in this case skulls, made by a 3D printer from a digital model obtained from the scanning of matrix objects with different types of imperfection discarded by the production circuit. In this way the artist verifies the intrinsic creativity of a serial process capable of generating new alterations and he adopts a protocol similar to that of the machine, establishing precise procedural rules to be strictly followed without evading them to induce predetermined changes. The new “digital abortions” thus obtained are materialized in golden plastic as if they were luxurious model-souvenirs while the regular implementation of the initial errors at each step leads the final configuration to show very similar indeterminate forms, although they result from different errors.

The narrative and theoretical substrate of the installation Do you like cyber? which ends the show is instead the scandal broke out in 2015 for the hacking of the American dating site Ashley Madison, following which users’ chat was posted online. The sharing made it possible to find out how many conversations were conducted by bots and not by human beings. From some inconsistencies in the data came also 69 striking cases where these basic artificial intelligence had transgressed the programming software instructions to contact women or other bots on their own initiative without any computational logic. Vavarella by using three parametric speakers mounted on robotic arms in motion creates a disturbing sound limbo where high-frequency artificial voices infinitely repeat the 69 anarchist messages. The immateriality of these sterile conversations, accentuated by the property of speakers to create focused sound streams that differently resonate in the environment depending on whether they are refracted or absorbed by the physical obstacles they encounter by generating virtual sound sources at every point of impact, is balanced by a solid body of metallic bowels and electric wires that do not seem to suffer any inferiority complex with the human body. The total indifference of the work to the spectator suggests a radical change of perspective with respect to the most common post-human projections in which the dream of being human joins cyborg and robot nostalgically devoid of their own ontological autonomy and let us imagine new possible aesthetic scenarios that exclude our understanding and perception. According to the artist, therefore, the future of evolution does not lie in the rule or virtuosity of its application, but in the critical acceptance of the unexpected that can no longer be defined as a mistake because it responds to the operating logic of other entities with which it would be anachronistic to refuse to live together.

Info:

Emilio Vavarella. RE-CAPTURE: Room(s) for Imperfection
a cura di Federica Patti
18 novembre 2017 – 20 gennaio 2018
GALLLERIAPIÙ
Via del Porto 48 a/b Bologna

Emilio Vavarella, Animal Cinema, video in HD, formato 16:9, 12’12”, 2017, courtesy GALLLERIAPIÙ

Emilio Vavarella, L’altra forma delle cose (The Other Shape of Things), gruppo scultoreo in plastica PLA e ABS, realizzato con scanner 3D e stampanti 3D, 2017 courtesy GALLLERIAPIÙ

Emilio Vavarella, L’altra forma delle cose (The Other Shape of Things), 2017,exhibition view at GALLLERIAPIÙ

Emilio Vavarella, L’altra forma delle cose (The Other Shape of Things), 2017,exhibition view at GALLLERIAPIÙ

Emilio Vavarella, Do You Like Cyber? installazione sonora site-specific con tre altoparlanti parametrici robotizzati, 2017 courtesy GALLLERIAPIÙ