Giugno 10, 2021
by Guendalina Piselli
Al centro della ricerca di Emilio Vavarella ci sono il rapporto tra Uomo e tecnologia e i relativi effetti su individui e società. In opere precedenti l’artista ha infatti messo in luce il modo in cui le tecnologie influenzano comportamenti, come la comunicazione contemporanea si realizzi con e attraverso le macchine, come la realtà sia sempre di più modellata dall’elaborazione di algoritmi e di intelligenze artificiali. Con il suo ultimo progetto rs548049170_1_69869_TT (The Other Shapes of Me): Sourcecode vincitore dell’Italian Council e in mostra negli spazi di Gallleriapiù a cura di Ramdom, Vavarella concentra la sua riflessione su un altro tema legato alla tecnologia: i vari stati e le diverse rappresentazioni dei dataset, cioè insiemi di dati e informazioni organizzati per essere trasmessi e riprodotti. Per farlo rivolge da una parte la sua attenzione al punto di partenza dell’informazione e dall’altra alle biotecnologie realizzando così un progetto a cavallo tra genetica, ricostruzione storico-culturale e autoritratto.
Ad ispirare Vavarella è l’idea che, immaginando i dataset come sorgente di informazioni trasmettibili, il DNA non sia altro che un code source interpretabile, riproducibile e modificabile. Proprio come in un sistema binario le combinazioni di 0 e 1 sono utilizzate per trasmette un’informazione, le quattro basi nucleotidi che formano il DNA si combinano in n possibilità dando vita ad un codice capace di gestire informazioni che si occupano delle attività cellulari in modo differente per ciascuna persona. Un messaggio, e quindi un testo, che ha iniziato ad essere tradotto solo a partire dagli anni Settanta con i primi studi della genetica e che svolge contemporaneamente la funzione di archivio e sorgente. In quanto sistema di dati il DNA può dunque essere non solo trasmesso, ma anche tradotto in altri linguaggi.
L’impresa di Vavarella inizia proprio da qui e dalla suggestione dei legami storici e culturali che da decenni legano il mondo dell’informatica a quello della tessitura. Primo fra tutti l’intuizione nel 1801 ad opera di Joseph-Marie Jaquard del controllo dei telai attraverso l’utilizzo di schede di cartone perforato legate tra loro con stretti nastri. Ed è proprio uno dei modelli della macchina Jaquard a fare da perno alla mostra in corso a Gallleriapiù. Un imponente macchinario, visibile già dalla vetrina esterna dello spazio, sconosciuto ormai ai più, ma dal ruolo fondamentale non solo nella nascita e del successivo sviluppo dell’industria tessile moderna bensì anche di quello della moderna informatica. È infatti alla macchina di Jaquard che si ispira Charles Babbage per la progettazione dell’Analytical Engine, il primo dispositivo programmabile della storia dal quale – a sua volta – Ada Lovelace, considerata la prima persona al mondo ad ideare un algoritmo pensato espressamente per essere elaborato da una macchina, trae ispirazione per i suoi studi cruciali per il futuro sviluppo delle schede perforate per i primi elaboratori.
Vavarella utilizza proprio una di queste schede, ormai dimenticate da un’intera generazione, come strumento di traduzione del proprio DNA: tradotta in codice binario, l’informazione genetica dell’artista viene elaborata dalla macchina Jaquard e trasformata dall’intervento manuale di Marinella, la madre di Vavarella, in un tessuto a due colori. L’intervento umano avvenuto in nove mesi, qui nel duplice ruolo della figura materna come artigiana e genitrice, è registrato da un video che documenta la realizzazione della striscia di tessuto larga circa settanta centimetri e lunga più di ottanta metri.
Un’installazione dal titolo rs548049170_1_69869_TT (The Other Shapes of Me) capace di raccontare secoli di trasformazioni tecnologiche, analizzare le possibilità del linguaggio computazionale e mettere in luce i legami meno evidenti tra informatica e tessitura. Tra questi, oltre alle analogie di linguaggio e processo, anche il ruolo della figura femminile: dalla già citata Ada Lovelace passando per l’incarico dato alle donne proprio agli albori dell’informatica e in tutta la storia dell’industria tessile fino all’origine della macchina di Jaquard presente in mostra proveniente dalla Tessitura Giaquinto di Gagliano del Capo nata nel 1912 dalla volontà di Francesca.
Se telaio, macchina Jacquard e schede perforate delimitano i confini tecnologici, scientifici ed estetici entro i quali poter produrre il tessuto, nella seconda sala Vavarella supera i limiti di questa prima tecnologia adoperando un telaio elettronico in grado di realizzare tessuti in quadricromia – quattro colori proprio come le quattro basi del DNA. Ne risulta una serie di arazzi, otto in totale, dal titolo Sections (The Other Shapes of Me) che rimette l’uomo al centro: ciascun tessuto contiene parte del DNA ed è altezza pari a quello dell’artista. Un autoritratto di quell’elemento invisibile essenziale e necessario che rende possibile l’esistenza.
A completare la mostra la serie Samples (The Other Shapes of Me) realizzata a partire da un campione di DNA elaborato digitalmente dando così vita a nove arazzi di piccole e medie dimensioni nei quali viene superato qualsiasi limite tecnico e dai quali è ancora sempre possibile – contemporaneamente – risalire alla sorgente e produrre nuovi risultati.
Il risultato è una mostra ideata e costruita a partire da informazioni personali lette ed interpretate da una tecnologia per dare loro nuova forma. E non è forse quello che accade quotidianamente ogniqualvolta si condividono dati con App e Social?
Agli intrecci, incontri e scambi dell’innovazione informatica e tessile, è dedicata la pubblicazione edita da Mousse rs548049170_1_69869_TT, un catalogo ideato come ulteriore spazio di riflessioni, azioni e narrazioni che coesistono in parallelo e che mettono in luce aspetti storici, sociali e culturali per comprendere la contemporaneità.