[ARCHIVAL VERSION. ORIGINALLY PUBLISHED IN JULIET]
Emilio Vavarella presenta a GALLLERIAPIÙ la terza mostra del progetto rs548049170_1_69869_TT (The Other Shapes of Me), vincitore della sesta edizione di Italian Council (2019). L’artista, ricercatore alla Harvard University in Film and Visual Studies and Critical Media Practice, coniugando interdisciplinarità artistica e ricerca teorica, da sempre nel suo lavoro analizza le logiche che presiedono al funzionamento di macchine e software (con particolare attenzione alle disfunzionalità) per estrapolarne gli imprevedibili effetti poetici e creativi. Il suo approccio si fonda sull’atto di appropriarsi di materiale preesistente per poi manipolarlo secondo procedure plausibili ma paradossali, enfatizzando l’autosufficienza creativa di processi attivati dalla volontà umana che, incrementandosi, acquisiscono un’imperturbabile esistenza autonoma. La sua ricerca è partita dall’esplorazione delle manifestazioni sensibili delle imperfezioni di programmazione, come ad esempio gli screenshot di Google Street View che compongono la serie The Google Trilogy (2012), in cui gli sporadici problemi tecnici dell’algoritmo che governa l’applicativo generano paesaggi frammentari o virati in colori inverosimili, estremamente affascinanti per le analogie cromatiche e formali che li accomunano e che sembrano postulare l’esistenza di una nuova estetica digitale.
Successivamente l’artista si è addentrato nell’approfondimento dei codici di programmazione responsabili delle incongruenze all’origine delle anomalie rilevate, utilizzando il parametro dell’errore per comprenderne meglio le modalità operative. Così nella serie THE OTHER SHAPE OF THINGS – 1. Failed Objects (2017 – in corso) si è dedicato alla realizzazione di oggetti tramite stampante 3D a partire da modelli digitali ricavati dalla scannerizzazione di oggetti-matrice fallati con diverse tipologie di imperfezione scartati dal circuito produttivo, mentre in THE OTHER SHAPE OF THINGS – 2. Datamorphosis (2019 – in corso) attraverso una sequenza di elaborazioni erronee di dati si è impegnato a tradurre in forme tridimensionali i versetti latini delle Metamorfosi di Ovidio, sorprendentemente materializzati in gruppi scultorei che sembrano in qualche modo trattenere l’essenza di un discorso mitologico e poetico concepito più di duemila anni fa.
Nel progetto esposto a GALLLERIAPIÙ si evidenzia come l’evoluzione di questa ricerca che, pur essendo incentrata sul rapporto tra esseri umani e tecnologia collocava l’uomo nella posizione dell’osservatore o del demiurgo–programmatore, sfoci in una “riflessione sulla tecnologia come parte integrante del concetto di vita, tanto in senso biologico quanto filosofico[1]”. Il titolo della mostra fa riferimento alla prima riga di testo che risulta dalla genotipizzazione del DNA di Vavarella: il processo, finalizzato a determinare le differenze nel genotipo[2] tra individui tramite test biologici, i cui risultati vengono espressi in codici alfanumerici per consentirne la comparazione, viene qui impiegato con l’ulteriore intento di traslarli in un codice sorgente binario[3] da utilizzare per programmare una macchina tessitrice jacquard e un telaio elettronico. Se nei progetti precedenti l’artista sembrava voler verificare l’intrinseca creatività di un processo seriale adottando un protocollo d’azione simile a quello della macchina, qui lo spiazzante corto circuito tra l’origine e l’elaborazione generato dalle regole procedurali da lui stabilite suggerisce un’ambigua competizione con gli strumenti tecnologici e si espone al rischio di un’inquietante deriva del significato del codice nel settaggio dei suoi trasferimenti applicativi.
Nella grande installazione che apre la mostra il codice binario dedotto dal frammento di DNA dell’artista viene riportato su una striscia di schede forate di cartone collocate su un cilindro rotante: i fori di ciascuna scheda corrispondono al disegno da riprodurre e tramite un sistema di cordicelle e contrappesi comandano i fili dell’ordito ad essa collegati, l’intreccio della trama e il successivo avanzamento delle schede all’interno del telaio jacquard. Il risultato è un tessuto in scala di grigi di sessanta centimetri di larghezza lungo ottanta metri, il cui astratto pattern decorativo rispecchia la sezione di patrimonio genetico dell’artista. L’automatismo dell’operazione viene bilanciato e umanizzato dal video che mostra come per realizzare il manufatto Emilio Vavarella si sia avvalso della collaborazione di sua madre, esperta artigiana tessile reclutata per questa “riedizione” standardizzata e astratta del figlio.
Nella seconda sala della mostra troviamo invece esposti dei grandi teleri incorniciati il cui tessuto è stato realizzato usando la stessa sequenza binaria ricavata dal DNA dell’artista come codice di programmazione impartito a un moderno telaio elettronico. In questo caso il prodotto, il cui pattern risulta identico a quello del tessuto precedente, rispecchia esteticamente l’aggiornamento tecnologico degli strumenti di lavorazione nell’impeccabile planarità della superficie e nella vivacità cromatica dei fili utilizzati. Gli slittamenti tra i due manufatti, dovuti alle differenze hardware e software del sistema produttivo di cui sono espressione, oltre a far riflettere sull’arbitrarietà insita in qualsiasi operazione di traduzione e applicazione, dialogano con ironica democraticità con le macroscopiche differenze (e le inverosimili somiglianze) tra l’artista e i suoi analoghi tessili.
Nell’ultima sala Emilio Vavarella sembra voler portare alle estreme conseguenze la collisione tra la presunta univocità del codice e le sue molteplici rappresentazioni-incarnazioni attraverso una serie di Samples, piccoli arazzi caratterizzati da diverse fantasie decorative, alcune delle quali presentano perfino chiari ammiccamenti figurativi, ricavate sottoponendo a eterogenei processi di elaborazione digitale i suoi frammenti di trascrizione di DNA. L’enfatizzazione finale dell’intrinseca convenzionalità del codice come esito di un controllato climax di trasposizioni (logiche, materiali, simboliche, emotive e tecnologiche) caratterizzate da un esponenziale incremento di variabili sembra manifestare un nuovo ambito di interesse nella ricerca dell’artista, sempre più orientata a passare dalla constatazione creativa a una manipolazione filosofica e progettuale che apre squarci di incertezza esistenziale difficilmente rimarginabili.
Info:
Emilio Vavarella. rs548049170_1_69869_TT (The Other Shapes of Me)
a cura di Ramdom
04/05 – 16/07/2021
GALLLERIAPIÙ
Via del Porto 48 a/b, Bologna
[1] https://www.juliet-artmagazine.com/arte-tecnologia-ed-errori-in-conversazione-con-emilio-vavarella/
[2] La costituzione genetica di un organismo o di un gruppo di individui, corrispondente all’insieme degli alleli presenti per ogni gene, che presiede all’espressione dei caratteri somatici.
[3] Codice basato su due soli simboli, usualmente 0 e 1. Un codice binario permette la trasmissione di dati e istruzioni mediante una sequenza di 0 e 1, che può essere realizzata con un circuito formato da un dispositivo capace di assumere due stati diversi di tensione (tipicamente acceso e spento).
Emilio Vavarella, rs548049170_1_69869_TT (The Other Shapes of Me), exhibition view at GALLLERIAPIU, 2021, photo by Stefano Maniero and courtesy GALLLERIAPIU and the artist
Emilio Vavarella, rs548049170_1_69869_TT (The Other Shapes of Me), 2021, (detail), photo by Stefano Maniero and courtesy GALLLERIAPIU and the artist
Emilio Vavarella, Sections (The Other Shapes of Me), exhibition view at GALLLERIAPIU, 2021, photo by Stefano Maniero and courtesy GALLLERIAPIU and the artist
Emilio Vavarella, Samples (The Other Shapes of Me), exhibition view at GALLLERIAPIU, 2021, photo by Stefano Maniero and courtesy GALLLERIAPIU and the artist
Emilio Vavarella, Samples (The Other Shapes of Me), exhibition view at GALLLERIAPIU, 2021, photo by Stefano Maniero and courtesy GALLLERIAPIU and the artist