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Double Blind

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Double Blind, 2022. Elaborazione fotografica da rete neurale artificiale. Stampa lightjet su carta Kodak metallica montata su Dibond e vetro acrilico, cornici in quercia nera. 49 foto. Dimensioni variabili*. 

Sono sempre stato affascinato dal fatto che le nostre memorie ci appaiono sotto forma di immagini, come se tutti i nostri ricordi fossero parte di un vasto archivio fotografico. Ogni volta che pensiamo a qualcosa, il nostro cervello riproduce quell’immagine in modo da darcene coscienza. Questa produzione di immagini mnemoniche è la parte che più mi interessa, e che rende i processi mnemonici simili a dei rendering digitali o a delle elaborazioni dati che, in modo dinamico, producono continuamente un flusso di immagini sulla base delle informazioni di cui siamo in possesso. Double Blind investiga questo complesso rapporto tra immaginazione, nel senso di messa in immagine, e memoria.

NOTE DI PRODUZIONE:

Nel realizzare Double Blind ho deciso di testare una logica fotografica project-specific, capace di avvicinarsi il più possibile, dal punto di vista tecnico e metodologico, al modo in cui le immagini affiorano nella nostra memoria. Volevo creare delle foto il cui processo produttivo fosse il più possibile analogo a quello che riproduce un ricordo. La prima fase di questo processo è stata mettere insieme un archivio di memorie. Ho deciso di raccogliere le memorie degli abitanti di Santa Maria di Leuca, un piccolo paesino pugliese ricco di storie interessanti. Negli anni cinquanta Leuca ha conosciuto una forte emigrazione e migrazione di ritorno. In tanti sono partiti in cerca di lavoro, e, dopo alcuni decenni, sono tornati indietro. Mi sono focalizzato sui ricordi dei luoghi in cui i cittadini leucani hanno vissuto durante la loro permanenza all’estero. Sulla base dei loro ricordi ho tentato di ricostruire delle mappe, seppur frammentate, di quei luoghi. Per farlo ho utilizzato un vasto repertorio di tecniche e tecnologie di mappatura mnemonica e topografica, di elaborazione dati, modeling e rendering fotorealistico, incrociando aerofotogrammetria e rilevazioni satellitari, da fonti open source e private. Infine, ho dato a questa mole di dati una forma fotografica utilizzando una rete neurale artificiale, cioè un modello computazionale automatizzato che simula il funzionamento di una rete neurale umana. Così come ogni nostra memoria è il prodotto di una performance cerebrale, le foto di Double Blind sono anch’esse il prodotto di un lungo processo di rendering neuronale che ‘sviluppa’ un’immagine sulla base delle informazioni disponibili.

Ogni foto è stata prodotta alla massima dimensione supportata dalla rete neuronale (circa 500 megapixel). Nonostante l’altissima risoluzione, ogni immagine presenta anche numerose distorsioni, punti ciechi, coni d’ombra, zone che corrispondono a dei gap o a delle irriconciliabilità nelle memorie raccolte. L’estetica finale di ogni singola fotografia è determinata dalla rete neurale artificiale e non è prevedibile o controllabile in anticipo.



CRITICAL TEXT BY CARLO SALA (ita)

«Per ricordare occorre immaginare» Georges Didi-Huberman

Il concetto di memoria è intrinsecamente legato al mezzo fotografico e più in generale alle varie forme di riproduzione del reale seguendo una serie di evoluzioni tecnologiche che dal diciannovesimo secolo hanno condotto all’iconosfera odierna. La fotografia nei suoi albori ha cercato alacremente di essere uno specchio dotato di memoria, come recitava una delle sue prime definizioni ottocentesche che denotava una fede incrollabile sulla sua capacità di oggettivare la rappresentazione del mondo. Le riflessioni sulla memoria e la messa in crisi dell’oggettività sono due dei temi cardine della ricerca di Emilio Vavarella (Monfalcone, 1989) indagati a partire da lavori come l’opera interattiva MNEMOGRAFO (2016) e MEMORYSCAPES (2013-2016). In quest’ultimo, si condensa il tentativo di alcune persone residenti a New York di ricostruire, attraverso i loro ricordi, la morfologia urbana della città di Venezia dove avevano precedentemente vissuto. La formalizzazione visiva dell’opera, che include ologrammi e tracce sonore, è profondamente condizionata dal fatto che tali testimonianze presentano numerosi elementi discordanti tra loro che vanno dall’altezza del campanile della Basilica di San Marco alle dimensioni dei vari palazzi, fino alla collocazione delle finestre negli edifici. Questa ricerca legata al rapporto tra memoria e tecnologia ha poi portato Vavarella alla realizzazione dell’opera in mixed-reality MNEMOSCOPIO (2020). Questo lavoro è, sotto vari aspetti, il prodromo della serie Double Blind (2020) realizzata da Vavarella a Gagliano del Capo in Puglia raccogliendo le storie di persone che sono immigrate all’estero per motivi lavorativi e poi ritornate nelle terre d’origine. L’artista ha utilizzato i ricordi legati ad alcune città – da Ginevra a Costanza, da Parigi a Monaco – che in molti casi hanno rivelato dei contenuti fallaci. Le immagini del progetto sono delle mappe visive fondate ab origine su una serie di contraddizioni che, nel processare il magma di dati raccolti, hanno generato delle texture dove appaiono una serie di punti ciechi e indefiniti, dei veri e propri cortocircuiti dello sguardo. Ma proprio nel vedere queste incongruenze torna alla memoria la basilare lezione di Clément Chéroux quando affermava che «è nelle sue ombre (…) nei suoi accidenti e nei suoi lapsus che la fotografia si svela e meglio si lascia analizzare; scommettere insomma sull’errore fotografico come strumento cognitivo».[1] Sebbene lo studioso francese affrontasse nella sua trattazione un contesto essenzialmente analogico, nel passaggio al digitale il valore del suo assunto rimane immutato nel valutare l’errore come un’opportunità di comprensione. I lavori della serie Double Blind di Vavarella sono realizzati mediante dei processi algoritmici di rendering neuronale che incrociano aerofotogrammetrie e rilevazioni satellitari disponibili liberamente in rete.  Le opere presentano un carattere spiccatamente dicotomico perché, se nella loro globalità sono dominate da un iperrealismo dovuto all’alta risoluzione adottata, sono altresì costellate da una serie di punti sfuocati dove l’immagine diviene indefinita generando così un senso di sospensione. Tale aspetto appare come una lucida allegoria del modo di funzionare della memoria umana che porta a ricordare dei dettagli molto precisi accanto a dei vuoti improvvisi che rischiano di inficiare la ricostruzione d’insieme. Queste zone grigie dell’opera innescano una pluralità di riflessioni perché, se da un lato sono una sorta di fallimento tecnologico, dall’altro hanno uno spiccato potenziale generativo ed estetico spostando la questione sul piano dell’inconoscibilità e dell’inaspettato. Scrutando le porzioni dei lavori che risultano sfuocate e illeggibili siamo dinanzi a un senso di perturbante tecnologico che fa percepire l’immagine come familiare, e al tempo stesso alieno, dove si fondono le sensazioni di conoscenza ed estraneità. Inoltre, l’artista nel corso del suo percorso di sovente si è relazionato all’errore vedendolo come un elemento rivelatore del processo, capace di estrinsecare le dinamiche complesse di funzionamento delle tecnologie. Il modus di creazione delle immagini di questa serie è strettamente connesso alle riflessioni legate alla filosofia dei media che l’autore sta portando avanti sui media models, ovvero su come tendiamo a creare modelli epistemologici sulla base di tecnologie già conosciute e assodate. In questo caso, Vavarella ci invita a meditare su come la nostra concezione dei processi algoritmici è condizionata e viziata dal modo in cui interpretiamo il funzionamento della mente, creando talvolta delle analogie troppo lineari che tendono a smussare la complessità dei fenomeni. In questo, come in altri progetti di Emilio Vavarella, sono centrali le riflessioni sulla memoria, perché questa si pone per l’artista come il veicolo per trattare tutta una serie di questioni urgenti come l’identità, l’autorappresentazione e il complesso rapporto – dialogico e conflittuale – con le tecnologie.

[1] Clément Chéroux, L’errore fotografico. Una breve storia, 2009, Einaudi, Torino, pag. 6.


EXHIBITIONS

  • (2022) Galleria Indice. Fotografia italiana contemporanea, curated by Luca Zuccala and Andrea Tinterri, Milan, Italy

+ INFO:

  • The Double Blind series is composed of 49 photos representing the cities of Paris and Mulhouse (France); Konstanz and Munich (Germany); Swindon (UK), Brooklyn (US), Bern, Geneve and Dübendorf (Switzerland). The people who accepted to share their memories with me are: Annarita P., Antonietta C., Cosimo L., Federico C., Francesca M., Franco R., Giuliana S., Lucia F., Michele V., Paolo M., and Stefania C.
  • This work is a continuation of the research conducted for MNEMOSCOPIO, a site-specific public art installation for the territory of the Cape of Leuca produced with Ramdom.
  • The Double Blind research received a special mention at Premio Graziadei per la Fotografia, MAXXI Museum.
  • *Photos are produced in four formats: S-M-L-XL. “Small format:” 20×20/20×35 cm; “Medium format:” 50×50/50×89 cm; “Large format:” 90×90/80×142 cm; “Extra-Large format:” 120×120/100×180 cm. Each photo is an edition of 1/1.